domenica 21 agosto 2016

Ho pensato di ripostare tutti i miei racconti. Vediamo che ne pensare.

Insieme a lei


   La melodia si diffondeva dolce e malinconica per tutto l’appartamento; rannicchiata in un angolo guardava l’amore suo sul letto, con il corpo forte e muscoloso scomposto fra le lenzuola oramai fredde. Il suo sguardo era vuoto a tratti e a tratti pieno di ricordi che facevano male a rivangare un passato così dolce e doloroso assieme.
   Le parole delle canzone... come erano cattive! Facevano male e scavavano senza alcuna pietà nelle sue ferite ancora troppo aperte, sanguinanti, ancora troppo doloranti per poter sopportare a lungo.
Lo sapeva, però! Sentiva e sapeva con assoluta certezza che non sarebbero mai diventate cicatrici.
   Allora?
   Perché non si decideva?
   Che cosa stava aspettando?
   Cosa aspettava ancora?
   I suoi occhi, rossi e gonfi, non potevano ancora staccarsi dal volto di lui, nemmeno adesso. Neanche adesso che era così trasfigurato, eppure così tremendamente bello nella sua immobilità da farla diventare pazza... come quella canzone a cui ad ogni strofa dava la sua risposta con voce arrochita, mentre i suoi pensieri, oramai alberganti in una mente malata, si confondevano con le parole della canzone.

Vorrei darti la mia vita e tu lo sai                          
(... me l’hai giurato.)

È iniziato come un gioco tra di noi                       
(... solo per te lo è stato.)

Sapevamo che finiva tutto lì                                 
(... io no!)

due giorni al massimo.                                           
(... tutta la vita t’avrei voluto.)

Il tuo sguardo è un pò imbronciato come mai?       
(... perché adesso ho capito.)

Compromessi con il cuore non ne fai                     
(... io non amo a tempo.)

Tu mi vuoi sempre vicino                                      
(... è vero!)

come il sole del mattino                                         
(... di più)

non riesci a immaginarti senza me                          
(... mai!)

Io promesse giuro, non ne ho fatto mai                   
(... al mio cuore sì!)

sono stato sempre chiaro, tu lo sai                         
(... non è vero!)

ma il silenzio del tuo cuore non fa rima con l’amore
hai bisogno di restare qui con me.
(... io ci muoio senza te!)

Insieme a lei quello che ho fatto lo sa Dio               
(... e quello che hai fatto con me?)

Ma come faccio a regalarti il posto suo                    
(... dicendole la verità)

sarebbe come il Paradiso senza gli angeli                   
(... o l’inferno senza i diavoli.)

e poi in amore non si può giocare in tre                   
(... non ho mai giocato, io.)

Insieme a lei ne ho fatte di fotografie                       
(... io non ne ho nemmeno una.)

ci sono scritte date e pezzi di poesie                          
(... le date le ho incise sul cuore)

m’ha regalato, senza mai stancarsi, l’anima               
(... anch’io! Anch’io!)

ed io non posso farla piangere per te                         
(... perché non per me? Cos’ha lei che io non ho?)

tu sei la neve e lei rimane sempre il sole, ragazza mia.                                                               
(... la neve? È questa che alberga nel mio cuore dolente? È questa cosa bianca e freddissima che mi attanaglia col suo gelo?)

E non dirmi che ti lascio qui nei guai                           
(... non lasciarmi ti prego!)

che il dolore non potrà passarti mai                            
(... certo che è così.)

se si muore per amore, io non posso immaginare
che sia lei a dover morire senza me.
(... e io? A me non pensi? Mi lasci qui a macerare nel dolore; ferita, sanguinante, sola. Martoriata, agonizzante con gli occhi pesti e secchi. Non ho più la forza di versare più nemmeno una sola lacrima.)

Ma io promesse giuro, non ne ho fatte mai
(... e i tuoi baci, le tue carezze?)

sono stato sempre chiaro, tu lo sai
(... bugiardo!)

si dividono le strade, tanti auguri buona vita
non odiarmi quando poi mi penserai
(... odiarti? Io ti amo! Ti amo! Ti amoooo!)

Insieme a lei quello che ho fatto lo sa Dio....

   La canzone continuava con il suo ritornello, ossessiva, assieme a quelle parole crudeli mentre lei stava gridando con lo sguardo da forsennata e quelle parole sulle labbra: ”Addio amore mio.”
   La porta si aprì con un colpo secco. Come aveva previsto erano arrivati; ma perché ci avevano messo così tanto? Da tre giorni e tre notti oramai, quella canzone risuonava a tutto volume nell’appartamento. I vicini finalmente si erano stancati e avevano chiamato la polizia.
   Guardò l’agente che era entrato pistola in pugno dopo che aveva bussato per quasi dieci minuti e non avendo risposta aveva sfondato la porta. Gli era sembrato quasi l’eroe dei film polizieschi che arma in mano entra nella stanza per salvare la donzella in pericolo e anche lui forse, si sentiva così. Questa volta però l’eroe, avrebbe dovuto rinunciare al lieto fine perchè il poliziotto non si aspettava certamente lo spettacolo che così crudamente gli si presentava davanti. Vedeva quasi con gli occhi di lui il quadro apparsogli: l’uomo sdraiato sul letto dal colorito grigiastro che giaceva immobile, gli occhi fissi, spalancati e sorpresi. La ferita all’altezza del cuore e il sangue secco attorno ad essa. E con gli occhi del giovane si vedeva pure lei: accovacciata, addossata alla parete di fronte; sconvolta e nelle sua fredda e lucida follia gli sorrideva prima di puntarsi la pistola alla tempia e spararsi.
   Mentre moriva collassando sul pavimento, vedeva il suo stesso sangue schizzare assieme a schegge di cranio e cervello.
   Finalmente l’agonia, la ‘sua’ agonia era finita con quelle ultime parole: ”Addio amore mio!” E mentre veniva risucchiata nel limbo, sentì la disperazione del giovane agente che aveva assistito al suo primo caso di suicidio e senza ritegno aveva dato di stomaco. Udì anche parlare il collega più anziano che gli aveva battuto paternamente sulla spalla dicendogli: ”Imparerai figliolo; imparerai e dimenticherai; anche fin troppo presto.”
   Udì la sirena dell’autoambulanza che arrivò quasi subito e gli infermieri che portavano via i loro cadaveri.
   Il buio l’avvolse pietoso stendendosi sul suo dolore e lenendolo, almeno per un poco. Si rese conto che era morta e che stava per affrontare l’inferno. Ma che importava, non sarebbe stato poi tanto diverso da quello che aveva vissuto fino ad allora, fra menzogne, ore d’amore rubate, solitudine, lacrime e disperazione. O forse sì? Forse sarebbe stato peggio perché ‘lui’ non le sarebbe potuto stare accanto e questa volta, per tutta l’eternità.
   Si girò indietro appena per un secondo mentre la solita, struggente melodia continuava imperterrita, diffondendosi nell’aria, impregnandola della sua cupa tristezza e deprimendola ancora di più.
   Come poteva una donna diventare succube di un uomo? Perché questa testardaggine nell’amare un uomo che era di un’altra?
   Cosa l’aveva spinta: la competizione? Il desiderio di sapere che lei era migliore? Che aveva il potere di legarlo a sé per sempre? Che lui l’avrebbe preferita all’altra? Che sarebbe stato suo per sempre? Che poteva cambiarlo?
   Che importanza poteva avere adesso? Lui aveva scelto e lei l’aveva ucciso. Meglio morto che di un’altra. Lo aveva fulminato con un colpo di pistola al cuore, senza che se ne rendesse conto. O forse si era accorto del bacio freddo della canna della pistola, poiché l’aveva guardata negli occhi sorpreso e confuso.
   Non meritava di morire, lo amava troppo. Però lui era stato crudele ingannandola, facendole credere che avrebbe contato solo lei nella sua vita quando lui aveva già un’altra donna.
Quell’altra, che adesso le faceva pena; che ora compativa mentre discendeva senza sosta gli interminabili gradini che l’avrebbero condotta alla sua ultima meta. Non vedeva l’ora di arrivare e poter così espiare per l’eternità il male che aveva fatto.
   A metà strada vide qualcuno seduto che stava aspettando. S’era girato lentamente, appena aveva sentito i suoi passi e lo vide in faccia. Non poteva credere ai suoi occhi, se mai li avesse, visto che non sentiva d’essere qualcosa o qualcuno.
   Lo fissò a lungo e poi stese le braccia che pensava di avere e lo strinse a sé così forte che credette quasi di stritolarlo.
   ”Anche tu qui?” chiese confusa e felice.
   ”Come vedi...” rispose lui con un sorrisetto sulle labbra.
   ”Ma...” non ci capiva più niente; anche se se lo meritava, non voleva che lui finisse così. Non poteva farci niente, il suo amore per lui era ossessivo e tendeva alla protezione. In un suo folle ragionamento, lei lo aveva ucciso per non farlo soffrire; per impedirgli di provare il dolore della separazione, l’agonia della scelta.
   ”Vuol dire che il tuo inferno sono io e che dovrai sopportarmi per l’eternità. Io, l’inferno me lo merito per avervi ingannate entrambe, ma non posso farci niente poichè vi amo tutte e due.”
   Lei lo guardò. Non sarebbe cambiato mai, comunque adesso era tutto suo e neanche il diavolo in persona lo avrebbe strappato da lei; dalle sue avide braccia.
   ”Si sono sbagliati a mandarti qui poiché, il mio inferno adesso è diventato il mio Paradiso.”
   Gli strinse più forte la mano stampandogli un bacio rovente sulle labbra. Lui la guardò e sogghignando la strinse a sé. Se avrebbe potuto, l’avrebbe fatta entrare sotto la sua pelle.
   ”E poi dicono che l’inferno è bollente! Paragonato ai tuoi baci diventa gelido come la Siberia.”
   Lei gli passò un braccio intorno alla vita e l’uomo la tenne accanto, mettendole un braccio sulle spalle e prendendole una mano. Discese al fianco del suo uomo la lunga scalinata che l’avrebbe condotta nel suo mondo di infernale felicità e in un eccesso di contentezza canticchiò la canzone che l’aveva portata alla follia.

                                                                                                      FINE

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